Era il 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche
dell’Armata Rossa si trovarono di fronte ad uno spettacolo a cui
non potevano credere: esseri umani, ormai ridotti pelle ed ossa,
rinchiusi all’interno di stanzoni, in quello che era il campo di
concentramento di Auschwitz. I nazisti, circa dieci giorni prima,
si erano ritirati, portando con loro molti dei prigionieri, decine
di questi morti durante questa marcia al freddo ed al gelo.
L’apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero le
atrocità del genocidio ideato da Hitler, ma anche gli strumenti di
tortura e di annientamento utilizzati all’interno dei
lager.
Quando, davanti al cancello leggi la scritta “Arbeit macht frei“ (il lavoro rende liberi), hai un brivido che ti scende lungo la schiena. È come se non sapessi più dove finisce la realtà e comincia leggenda. Già, perché conoscendo ora il popolo bavarese, ti chiedi ancora prima di entrare, come sia stato possibile tutto ciò. Il silenzio inquietante, la nebbia sottile, il freddo tagliente.
Ti sembra quasi di sentire in lontananza le urla dei soldati ed
i lamenti dei prigionieri. Davanti quel monumento all´orrore, hai
l´impressione di sentire i pianti dei bambini che vengono separati
dai loro genitori, di sentire il fuoco che scoppia mentre brucia le
carni delle vittime di questa assurdità. Dachau è un paesino a 15
chilometri da Monaco di Baviera, bello, accogliente, ma famoso solo
per una cosa: qui fu aperto il primo Campo di Concentramento
nazista, per volere di Heinrich Himmler, il 22 marzo
1933. Solo dopo 1 anno e mezzo erano già internati centinaia
di dissidenti politici, "partigiani" tedeschi, Testimoni di Geova,
Pentecostali, emigranti ed omosessuali. Nel 1938 cominciarono ad
affluire nelle “stanze” del Campo di Dachau anche Ebrei e
Polacchi.
Di tutti questi, oltre 43.000 trovarono la morte. Non una morte "naturale" o semplicemente violenta. Trovarono una morte sofferta, quasi implorata, desiderata. La nostra guida, mentre spiega tutte queste agghiaccianti informazioni, lo fa con voce sommessa, quasi come si senta in colpa per quello che è successo, come se fosse stata lei a dare l´ordine. che diede inizio a quest’orrore. Ti fa vedere i forni, i “laboratori” medici dove venivano effettuate “ricerche” degne di un film dell´orrore, le stanze dove venivano ammassate le vittime. Tutto mentre tiene la testa bassa e con gli occhi lucidi, quasi a dire: "Non è colpa mia….". Il peso che porta il popolo bavarese è immenso. Anche loro non riescono a credere a quanto sia successo, come sia stato possibile permetterlo. Non voglio dilungarmi nella descrizione del posto. C´è poco da spiegare, ma una cosa l´ho intuita, e questa la voglio condividere. I bavaresi non hanno dimenticato il crimine dei loro "padri", anzi, se ne vergognano sul serio, e sanno che sarà una macchia indelebile. Forse anche noi italiani dovremmo ricordare un po’ di più la nostra storia, anche quella più orribile, quella in cui anche i nostri "padri" appoggiarono tanto orrore e contribuirono perché tale scempio fosse perpetrato. Ma si sa, noi Italiani abbiamo la memoria corta, purtroppo”.